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Riequilibrare le relazioni genitori-figli: due casi esemplificativi

Le storie di Anna e Giovanni

CASO 1: Anna (nome di fantasia) è una bambina di sette anni che i genitori indicano aver problemi con il cibo. A cena a casa mangia poco e mangia solo pochi cibi selezionati. I genitori raccontano come ogni sera sia una vera battaglia farla mangiare nonostante cerchino di venire incontro ad Anna chiedendole continuamente cosa desidera mangiare e cercando di accontentare le sue richieste. Nonostante ciò, i genitori raccontano come ogni sera si scateni in famiglia un “dramma” che finisce in pianti (della bambina) e urla (dei genitori).

CASO 2: Giovanni (nome di fantasia) è un bambino di nove anni che, quando è arrabbiato perché la mamma gli impedisce di utilizzare il cellulare o guardare la TV, la insulta riempendola di parolacce e calci. La mamma risponde a questi comportamenti con urla e sculacciate. Il padre, per evitare ciò, da un lato cerca di accontentare continuamente il figlio per evitare scatti d’ira, dall’altro cerca di non intervenire durante i momenti di scontro mamma-figlio.

Questi due casi hanno caratteristiche per certi aspetti molto diverse ma sono entrambe accomunate da un aspetto legato al tipo di relazione problematica che si è instaurata tra genitori e figli.

Due tipi di relazioni: simmetriche e complementari

Per comprendere quale sia l’aspetto problematico dei due tipi di relazione dobbiamo fare una breve premessa teorica riguardo alla comunicazione umana. Uno dei principi della comunicazione umana descritti da Paul Watzlawick e colleghi afferma che tra gli esseri umani si possono stabilire due tipi di relazioni:

  • simmetrica (in cui gli interlocutori si considerano a pari livello, senza che nessuno prevalga sull’altro)
  • complementare (in cui uno degli interlocutori assume una posizione di superiorità, detta “one-up”, sull’altro il quale assume di conseguenza una posizione di inferiorità, detta “one-down).

In generale, le relazioni tra genitori e figli sono di tipo complementare. Infatti, i genitori si pongono in posizione di superiorità “one-up” rispetto ai figli. Questo consente loro di guidarli soprattutto nei loro primi anni di vita. Man mano che i figli crescono, in particolare dall’adolescenza in poi, la relazione complementare si fa sempre meno accentuata per lasciare ai figli spazi di autonomia e decisionali sempre crescenti, che li porteranno passo dopo passo verso l’età adulta.

Vediamo questo cosa ha a che fare con i due casi descritti.

La relazione genitori-figli: i casi di Anna e Giovanni

Uno degli aspetti principali caratterizzanti il caso di Anna riguarda il tipo di relazione stabilita dai genitori rispetto al cibo. In questa specifica situazione, i genitori invece di porsi in posizione “one-up” (e cioè di superiorità) rispetto ad Anna, scelgono di porsi in posizione di inferiorità instaurando quindi una relazione complementare in cui è Anna la persona a cui spettano le decisioni. Ciò si può comprendere chiaramente dal fatto che ogni sera mamma e papà chiedono ad Anna che cosa desidera mangiare, inviandole così il messaggio implicito che si tratta appunto di una relazione in cui Anna ha il potere di decidere cosa mangiare per cena. Questa osservazione è ulteriormente avallata dal fatto che Anna non manifesta gli stessi problemi con il cibo a scuola, durante la pausa pranzo in mensa. A scuola, Anna non mangia sempre tutto quello che le viene dato ma, nella maggior parte dei casi, si adegua al menù della giornata.

Nel secondo caso tra Giovanni e la mamma si stabilisce invece una relazione di tipo simmetrico. La mamma, rispondendo con le stesse modalità alle provocazioni del figlio, invia al figlio il messaggio implicito di accettare un tipo di sfida “alla pari” (e quindi simmetrica) innescando così un’escalation di violenza verbale e fisica. Ad aggravare ulteriormente la situazione è la posizione del padre, che si pone in posizione di inferiorità “top-down” sia nei confronti della madre che del figlio.  

Uno dei principali effetti nell’evitare di stabilire con i propri figli, ancora bambini, una posizione di superiorità consiste nel dare loro in mano un potere che non sono in grado di gestire. Anna, infatti non è assolutamente in grado di decidere autonomamente cosa mangiare per cena sera dopo sera. Giovanni non sa come gestire la frustrazione generata dal non poter ottenere ogni volta ciò che desidera.

Riequilibrare le relazioni

Come agire quindi in questi casi? Il passaggio fondamentale consiste nel ristabilire relazioni e gerarchie adeguate all’interno della famiglia.

Nel caso di Anna, i genitori sono stati invitati a recuperare la propria posizione di superiorità nella relazione smettendo di chiedere alla figlia di decidere cosa mangiare per cena. La risposta di Anna è stata quella di una forte opposizione nei primi giorni, caratterizzati da capricci, scenate e rifiuto per il cibo. È importante comprendere però che questa prima fase oppositiva fa parte del processo di modifica dei rapporti di forza all’interno della relazione. Chi si trova in una posizione di potere, molto difficilmente lo abbandona senza porre resistenza. I genitori di Anna, preventivamente avvertiti, sono stati quindi invitati a “tenere duro” in questa fase. Dopo alcuni giorni, Anna ha iniziato inevitabilmente a adeguarsi alla nuova posizione di superiorità “one-up” recuperata dai genitori e ad assumere una posizione complementare “top-down”. A distanza di mesi, Anna non fa più capricci per il cibo a cena ed in generale mangia ciò che le viene servito. Giunti a questo punto, una volta ristabilite e rinsaldate le rispettive posizioni, i genitori si possono permettere di chiedere ad Anna di tanto in tanto cosa desideri mangiare, rendendo questo, un premio da riservare per occasioni speciali.

Nel caso di Giovanni, il primo passo è stato quello di lavorare con il padre nel rinforzare la propria posizione. Innanzitutto, il padre è stato invitato a porsi in una relazione simmetrica di parità rispetto alla madre. Ai genitori è stato quindi suggerito di essere presenti entrambi, l’uno a fianco a l’altro, nell’affrontare gli scatti d’ira del figlio. Il secondo passo è consistito nell’interrompere la relazione simmetrica, di parità, della madre con il figlio che portava all’escalation di violenza. È stato quindi suggerito ai genitori di non rispondere alle provocazioni di Giovanni dicendo: “Giovanni, ti stai comportando molto male, io e la mamma non accettiamo questo comportamento, ritorna da noi quando ti sarai calmato e sarai pronto a chiedere scusa”. È stato poi data indicazione ai genitori di ignorare il figlio fino a quando non avrebbe dato segnali di voler chiedere scusa e discutere di quanto accaduto in modo più appropriato. In questo modo, i genitori ristabiliscono la propria posizione “one-up” di superiorità, stabilendo allo stesso tempo delle nuove regole di fronteggiamento della situazione. Come accaduto per Anna, ciò ha portato inizialmente un’esasperazione del comportamento di Giovanni, che però i genitori hanno continuato ad ignorare. Nel giro di breve tempo, la posizione aggressiva di Giovanni, non trovando una risposta simmetrica da parte dei genitori, si è rapidamente ammorbidita, lasciando il posto alle scuse del bambino e ad una richiesta di riprendere il dialogo con i genitori. A questo punto i genitori (sempre entrambi presenti) hanno stabilito e concordato con Giovanni nuove regole per l’accesso a TV e altri apparati tecnologici.

I casi presentati sono stati in parte semplificati per ragioni espositive, tuttavia in entrambi il principale aspetto chiave è risultato essere il ripristino di una sana relazione complementare genitori-figli che ha consentito di modificare il modello famigliare ritrovando un nuovo equilibrio.


Dott. Michele Salvagno
Psicologo Psicoterapeuta a Bussolengo (VR)

AMBITI DI INTERVENTO

  • Psicoterapia individuale
  • Psicoterapia di coppia e familiare
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